venerdì, Giugno 20, 2025

Giorno del Ricordo

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Lo scorso 10 Febbraio si è celebrato il Giorno del Ricordo, solennità civile nazionale che ricorda i massacri delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata. In ricordo di questa giornata, nella nostra cittadina è stato organizzato il convegno “10 Febbraio – Oltre la Retorica”, ospitato dal “Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento” e patrocinato dal nostro Comune. In quanto giornale abbiamo deciso di partecipare all’evento, sia in coerenza con quanto detto nel precedente articolo sul fallimento della memoria, sia per esporre alcuni degli interventi esposti nel corso del convegno.

Il Museo del 900’ ed il moderatore Rodolfo Serafini

Gli onori di casa sono stati svolti da Claudia Montano, attuale direttrice del museo, che nel suo breve intervento ha presentato la storia del museo e l’importanza che esso ricopre nell’accrescere il senso di appartenenza per i giovani pometini. L’intero convegno è stato moderato da Rodolfo Serafini, attuale vice presidente del “Comitato 10 Febbraio Pomezia” che abbiamo precedentemente intervistato sulla questione foibe. Come da lui stesso spiegato, la scelta del titolo per questo convegno “Oltre la Retorica” ha un messaggio ben preciso: “Non trincerarsi dietro un fatto per avere uno strumento politico per attaccare chi ha un orientamento politico contro il nostro. Non strumentalizzare e non schierarsi a priori su una sponda politica” quando si commemorano le vittime di questa tragedia.

Il Saluto della Sindaca Veronica Felici

“Questa storia viene alla luce solo 20 anni fa, ciò ci fa capire il dramma dei martiri uccisi dai comunisti di Tito che hanno invaso le nostre terre nel momento in cui essere italiani era il motivo principale per essere uccisi.”

Veronica Felici, sindaco di Pomezia

La Sindaca ha portato il proprio saluto all’evento sottolineando come il tema delle foibe sia “sentito e percepito dalla cittadinanza”, ringraziando l’Associazione 10 Febbraio per aver svolto questo convegno e per aver portato avanti in questo territorio questo tema negato o dimenticato in questa nazione. Come ricordato dalla stessa, il Giorno del Ricordo è stato istituito con la Legge 30 marzo 2004, n. 92 evidenziando come “Questa storia viene alla luce solo 20 anni fa, ciò ci fa capire il dramma dei martiri uccisi dai comunisti di Tito che hanno invaso le nostre terre nel momento in cui essere italiani era il motivo principale per essere uccisi.”

La Sindaca ha concluso il suo intervento citando la storia di Nidia Cernecca e di come “Le vittime (delle foibe ndr.) hanno subito per 50 anni negazione. Pomezia non deve dimenticare questi giorni importanti, ogni giornata che ha dietro una valenza storica o comunitaria come italiani deve avere dignità con un monumento dedicato, sia per ricordare sia per esempio alle nuove generazioni.” La Sindaca ha concluso il suo intervento promettendo un’azione concreta che possa testimoniare il Giorno del Ricordo.

L’intervento del Segretario di Azione Pomezia

L’intervento del neo-eletto segretario di Azione Pomezia Mario Borgo Caratti si apre con un’importante precisazione: “Azione Pomezia ha deciso di partecipare alla commemorazione della Giornata del Ricordo perché vuole scardinare lo schema […] per cui alcune vittime sono più degne di essere ricordate di altre. Noi pensiamo che questo schema vada superato perché diversamente non si rende un buon servizio alla memoria. Come pensiamo che vada superata l’appropriazione da parte delle forze politiche di vicende storiche che dovrebbero invece far parte della memoria comune”.

Il problema della numerazione

L’intervento del segretario di Borgo Caratti continua poi con una trattazione storica sulla questione delle foibe, che suscita nella platea sconforto e lamento. La prima lamentela del pubblico riguarda il numero degli esuli: i 250.000 citati nell’intervento contro i 350.000 citati dalla platea: cerchiamo di riportare qualche dato.

Secondo il Ministero degli Esteri italiano, le stime si aggirano tra le 250.000 e le 270.000 persone (commissione presieduta da Amedeo Colella nel 1958). Per la storica Marina Cattaruzza, il numero si aggira sulle 250.000 persone. Una stima più accurata viene fornita da Olinto Mileta Mattiuz, demografo italiano, che riporta i seguenti dati: venetofono-romanzi autoctoni 188.000; immigrati tra le due guerre dall’Italia 36.000; figli di immigrati 3.700; sloveni autoctoni 34.000; croati autoctoni 12.000; rientri di funzionari italiani dalle zone di confine (militari, amministrativi con famiglie) 24.000; rumeni, ungheresi, albanesi 4.300.

Infine, lo storico Raoul Pupo nei suoi testi riporta: “Sulle dimensioni complessive dell’esodo vi è nella letteratura ampia discordanza […] si oscilla così da ipotesi al ribasso di 200.000 unità fino ad amplificazioni a 350.000 esodati, difficilmente compatibili con la consistenza della popolazione italiana d’anteguerra nei territori interessati all’esodo. Stime più equilibrate, risalenti alla fine degli anni cinquanta e successivamente riprese, inducono a fissare le dimensioni presunte dell’esodo attorno al quarto di milione di persone”.

L’intervento del Presidente emerito FederEsuli

Il discorso di Antonio Ballarin, presidente emerito FederEsuli, si apre riportando le parole della Legge 92 del 2004 Art. 1 e con la presentazione della propria storia come individuo, nato e cresciuto in uno dei tanti campi profughi giuliano-dalmati all’indomani del Trattato di Parigi del 1947. Secondo Ballarin l’esodo genera sradicamento e la soluzione a tale sradicamento risiede nel permettere alle persone di restare nella propria terra d’origine. Il Diritto al Ritorno è assicurato anche dalle Nazioni Unite, ma in quest’epoca viene nominato solo per i profughi palestinesi (proprio per la quale causa viene ideato il Diritto al Ritorno nel 1948 ndr.) e non per i giuliano-dalmati.

Il problema del Confine Orientale

Ballarin espone come la questione del Confine Orientale non solo sia complessa, ma che abbia anche origini ben più lontane. Tra il 1848 e il 1918, l’Impero Austro-ungarico, specialmente dopo la sconfitta ricevuta durante la Terza Guerra d’Indipendenza e la perdita del Veneto (1866),  favorì l’affermarsi dell’etnia slava nei territori limitrofi per contrastare l’irredentismo (vero o presunto) della popolazione italiana. Le cause di questa slavizzazione portarono ad espulsioni di massa, alla deportazione fino alla fine del primo conflitto mondiale di circa 150.000 italiani in campi di concentramento, alla germanizzazione e slavizzazione scolastica e culturale e alla limitazione dei diritti politici e civili motivata dalla lotta contro l’irredentismo.

Il Fascismo di Confine

L’intervento di Ballarin continua riportando che l’Italia, alla fine della prima guerra mondiale, con il trattato di Rapallo (1920) ottenne territori facenti parti del litorale asutriaco. Ballarin minimizza poi la forza del fascismo di confine e le conseguenze che ciò portò nei nuovi “territori acquisiti”. Spesso anche la platea fa fatica a parlare di Istituzioni Fasciste nel periodo di italianizzazione forzata dei nuovi territori acquisiti, preferendo parlare di governo italiano. Ricordiamo che il fascio triestino di combattimento nacque il 3 aprile 1919.

Il Fascismo nei territori istriani e dalmati comportò per la popolazione di origine e lingua slava l’italianizzazione forzata della cultura, l’italianizzazione forzata della propria identità (come il fenomeno dell’italianizzazione dei cognomi), la limitazione dei diritti civili e politici; una vera e propria restituzione del “torto” subito tra il 1866 e il 1918. In entrambi i casi le barbarie sono state perpetuate nella maggior parte in tempo di pace e verso la popolazione civile.

Così il “Popolo di Trieste” scriveva il 27 giugno 1927: “I maestri slavi, i preti slavi, i circoli di cultura slavi eccetera, sono tali anacronismi e controsensi in una regione annessa da ben nove anni e dove non esiste una classe intellettuale slava, da indurre a porre un freno immediato alla nostra longanimità e tolleranza“.

Infine, vogliamo ricordare uno dei comunicati del P.N.F. “Attenzione! Si proibisce nel modo più assoluto che nei ritrovi pubblici e per le strade di Dignano si canti o si parli in lingua slava. Anche nei negozi di qualsiasi genere deve essere una buona volta adoperata SOLO LA LINGUA ITALIANA. Noi Squadristi, con metodi persuasivi, faremo rispettare il presente ordine. GLI SQUADRISTI”.

Le foibe, possibili cause

Come raccontato dai vari relatori, l’esodo giuliano-dalmata deriva dalla barbarie compiuta da parte delle forze titine. Bisogna dunque interrogarsi sul perché di questa violenza: la tesi a cui fa riferimento Bellerin riguarda l’infoibamento delle vittime per la sola colpa di essere italiani. Tralasciando le tesi negazioniste, altra tesi interessante – che può in parte unirsi la prima -, è la visione per cui i cittadini italiani erano identificati dalle forze titine come fascisti e come portatori di quella determinata ideologia: era inconcepibile per le forze titine la distinzione tra cittadino italiano e fascista.

Non bisogna dimenticare anche il fenomeno dei Campi di concentramento per slavi, costruiti durante la seconda guerra mondiale. Questi campi ospitavano sia abitanti slavi dell’occupata Jugoslavia, sia gli appartenenti alle minoranze slave del Regno d’Italia. Molti degli internati morirono per malattie, stanchezza o torture all’interno dei campi.

Il debito di guerra

Veniamo alla parte più interessante dell’intervento di Ballarin, ovvero la questione del debito di guerra. Bellerin, infatti, si lamenta che nessun governo abbia pensato di risarcire gli esuli istriano-dalmati dopo che il neonato stato di Jugoslavia cominciasse a confiscare i beni appartenenti alle famiglie italiane che abitavano quei territori. Effettivamente nessun governo, italiano o estero, ha mai nel pratico risarcito gli esuli giuliano-dalmati dei beni confiscati durante e a causa dell’esodo da parte della Jugoslavia come risarcimento del debito di guerra italiano alla fine della seconda guerra mondiale. Nella teoria, invece, ci sono stati vari tentativi che hanno coinvolto l’ex-Jugoslavia, la Croazia, la Slovenia come paesi che hanno acconsentito ad un tavolo di trattativa con il governo italiano per occuparsi della questione del risarcimento. Gli ultimi tentativi risalgono al 2006 da parte del governo croato.

Riflessioni dell’Autore

Le foibe rappresentano una pagina triste della nostra storia, che come ogni tragedia ha visto la morte ingiustificata di moltissimi civili, popolazioni autoctone e controrivoluzionari del regime di Tito. Come riportava Ballardin, proprio la complessità storica di questo evento ci deve portare alla riflessione che non esistono vittime di seria A o di serie B, come non esistono nella storia meccanismi privi causa-effetto. Le barbarie compiute dagli italiani presso le popolazioni slave dei territori occupati non giustifica in alcun modo il brutale massacro delle foibe portato avanti dalle forze titine, ed allo stesso modo la furia fascista italiana non trova giustificazione nell’opera di slavizzazzione voluta dall’Impero Austro-Ungarico. In chiusura lasciamo una frase estrapolata dal diario di Etty: “Ogni violenza nel mondo ha delle conseguenze, come ogni azione. Esistiamo per prendere su di noi un po’ del dolore del mondo offrendo il nostro petto, non per moltiplicarlo, facendo a nostra volta violenza.”

Gian Mario Mazzola
Gian Mario Mazzola
19 anni. Studente di Giurisprudenza presso l'università La Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e letteratura. Mi occupo di politica locale, nazionale e di approfondimenti sul nostro passato politico.

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